
Mangiare in maniera eccessiva è sempre sconsigliabile. A volte può accadere di assistere (in ristoranti o in case private) alla perdita dei sensi, da parte di una persona, per la grande quantità di cibo ingurgitato: il sangue, impegnato nella digestione, abbandona la regione cerebrale e il 'mangione' sviene. Occorre allora sdraiarlo in posizione completamente orizzontale e fare in modo che lo stomaco 'si liberi' per consentire al sangue, per via della nuova posizione assunta dal corpo e della liberazione del sovraccarico dello stomaco, di riprendere a irrorare il cervello.
Ancora peggio (basta sfogliare i quotidiani d'estate) è recarsi a fare il bagno in mare, in un lago o in un fiume, dopo una cospicua mangiata. Ma, senza scomodare mari, laghi e fiumi, è sufficiente, talvolta, fare un semplice bagno, quando la digestione è ben lungi dall'essere compiuta. E la cosa doveva raggiungere apici drammatici nell'antichità, quando né la gente comune né i medici conoscevano e si ponevano il problema, all'epoca in cui Catone il censore riconosceva nel cavolo (brassica) la panacea di tutti i mali. Il fatto divenne una situazione topica della satira romana, specchio dei vizi dell'umanità. Non è dato sapere se la morte dopo o durante il bagno a digestione incompiuta fosse presente in Lucilio (2° secolo a. C.), la cui opera ci è pervenuta frammentaria, ma il fatto che essa sia presente nei tre satirici successivi (Orazio, contemporaneo di Augusto, Persio, di epoca neroniana e Giovenale, che nasce alla fine dell'impero di Nerone e muore ottantenne verso la seconda metà del 2° secolo d. C.) farebbe propendere per una risposta affermativa: i vizi umani e le loro conseguenze non conoscono età.
I poeti satirici non sono certo dei pensatori sistematici.
Ancora peggio (basta sfogliare i quotidiani d'estate) è recarsi a fare il bagno in mare, in un lago o in un fiume, dopo una cospicua mangiata. Ma, senza scomodare mari, laghi e fiumi, è sufficiente, talvolta, fare un semplice bagno, quando la digestione è ben lungi dall'essere compiuta. E la cosa doveva raggiungere apici drammatici nell'antichità, quando né la gente comune né i medici conoscevano e si ponevano il problema, all'epoca in cui Catone il censore riconosceva nel cavolo (brassica) la panacea di tutti i mali. Il fatto divenne una situazione topica della satira romana, specchio dei vizi dell'umanità. Non è dato sapere se la morte dopo o durante il bagno a digestione incompiuta fosse presente in Lucilio (2° secolo a. C.), la cui opera ci è pervenuta frammentaria, ma il fatto che essa sia presente nei tre satirici successivi (Orazio, contemporaneo di Augusto, Persio, di epoca neroniana e Giovenale, che nasce alla fine dell'impero di Nerone e muore ottantenne verso la seconda metà del 2° secolo d. C.) farebbe propendere per una risposta affermativa: i vizi umani e le loro conseguenze non conoscono età.
I poeti satirici non sono certo dei pensatori sistematici.
La filosofia spicciola di Orazio praticamente si risolve come segue: ognuno, per quanto riguarda se stesso, può fare ciò che vuole, purché non rechi danno alla società, a tal punto da arrivare a dire nell'ars poetica (466 s):
Sit ius liceatque perire poetis;
invitum qui servat, idem facit occidenti.
invitum qui servat, idem facit occidenti.
"Si lasci al poeta il diritto e la libertà di togliersi la vita. Chi lo scampa contro sua voglia è come se l'uccidesse".
Nei riguardi del cibo e di certe sue conseguenze, Orazio mostra piena coerenza (epist. 1, 6, 56 s.; 61 ss.):
Si bene qui cenat bene vivit, lucet, eamus,
quo ducit gula: piscemur, venemur...
quo ducit gula: piscemur, venemur...
"Se la felicità si riduce a mangiare bene, appena si fa giorno andiamo dove ci guida la gola; alla pésca, alla caccia..."
Crudi tumidique lavemur,
quid deceat, quid non obliti
remigium vitiosum Ithacensis Ulixei,
cui potior patria fuit interdicta voluptas.
Si Mimnermus, uti censet, sine amore iocisque
nil est iucundum, vivas in amore iocisque.
quid deceat, quid non obliti
remigium vitiosum Ithacensis Ulixei,
cui potior patria fuit interdicta voluptas.
Si Mimnermus, uti censet, sine amore iocisque
nil est iucundum, vivas in amore iocisque.
"Quindi, col cibo in gola e lo stomaco rigonfio, rechiamoci a fare il bagno, dimentichi di ciò che conviene e di ciò che non conviene, come la ciurma viziosa di Ulisse di Itaca, per cui più della patria, valse un piacere proibito (allusione ai compagni di Ulisse, che mangiano il loto e dimenticano patria e doveri (Od. 9, 94 ss.) o uccidono e divorano i buoi del Sole, contro il divieto di Ulisse (Od. 12, 320 ss.). Se, come pensa Mimnermo (poeta greco del 7° secolo a. C., i cui canti avevano per oggetto il piacere e l'amore), non c'è diletto al mondo senza l'amore e i trastulli, tu passa il tuo tempo tra l'amore e i trastulli".
E' un esempio insigne della Stimmung di Orazio ormai anziano, disposto a tollerare le umane debolezze: l'importante, per lui, è non tradire la propria natura.
Passando ora a Persio, austero seguace della filosofia stoica, ci troviamo di fronte a un passo altamente espressionistico (3, 94 ss.):
"Heus bone, tu palles.""Nihil est." Videas tamen istuc
quidquid id est: surgit tacite tibi lutea pellis."
"At tu deterius palles. Ne sis mihi tutor:
iam pridem hunc sepeli: tu restas.""Perge, tacebo."
Turgidus hic epulis atque albo ventre lavatur,
gutture sulpureas lente exhalante mefites.
Sed tremor inter vina subit calidumque trientem
excutit e manibus, dentes crepuere retecti,
uncta cadunt laxis tunc pulmentaria labris.
Hinc tuba, candelae, tandemque beatulus alto
conpositus lecto crassisque lutatus amomis
in portam rigidas calces extendit. At illum
hesterni capite induto subiere Quirites.
quidquid id est: surgit tacite tibi lutea pellis."
"At tu deterius palles. Ne sis mihi tutor:
iam pridem hunc sepeli: tu restas.""Perge, tacebo."
Turgidus hic epulis atque albo ventre lavatur,
gutture sulpureas lente exhalante mefites.
Sed tremor inter vina subit calidumque trientem
excutit e manibus, dentes crepuere retecti,
uncta cadunt laxis tunc pulmentaria labris.
Hinc tuba, candelae, tandemque beatulus alto
conpositus lecto crassisque lutatus amomis
in portam rigidas calces extendit. At illum
hesterni capite induto subiere Quirites.
"Ehi amico, sei pallido.""Non è nulla.""Stacci attento, sia quel che sia: la pelle ti si fa gialliccia a poco a poco.""Tu sei più pallido ancora: non farmi il tutore ! E' un pezzo che ho sepolto il mio: ora mi resti tu.""Fa' come vuoi: starò zitto." Ed eccolo che prende il bagno gonfio di cibo e con il ventre giallastro, mentre la sua gola esala lentamente fiati pestilenziali: ma mentre è intento a bere lo afferra un tremito che gli fa cadere di mano il bicchiere pieno di vino tiepido: crocchiano i denti scoperti e dalle labbra pendule gli escono unti bocconi. Poi suono di trombe, fiaccole ed infine il nostro signorino, ben composto nel catafalco e madido di grassi unguenti, stende i piedi irrigiditi verso la porta (secondo l'uso romano di esporre i morti con i piedi verso la porta perché i familiari potessero evitare l'influsso funesto dei 'fantasmi'): e i Quiriti di un giorno col berretto in testa (gli schiavi affrancati dal padrone defunto, nel testamento-e divenuti perciò Quiriti, cioè cittadini romani-hanno indossato da un solo giorno il pilleus, berretto di feltro segno della libertà) lo portano via."
Quella del nostro 'mangione', a differenza di quanto accadeva in Orazio, è tutt'altro che una scelta ma quasi una punizione del destino. Persio, che pure era ricchissimo, lo chiama beatulus (signorino) e beatus, che originariamente significa 'felice' (felix significa 'fortunato'), a partire dalla sua epoca, vale 'ricco', in quanto l'unica felicità è costituita dai soldi. Negli ultimi versi, poi, si ha una 'carrellate all'indietro', per cui il cadavere è l'ultima scena; esso è visto dalla prospettiva di chi entra e sente le trombe, vede le candele, entra e vede, come ultima cosa il morto, di cui scorge sùbito i calcagni rivolti verso la porta.
Figuriamoci la gioia feroce del poveraccio Giovenale travagliato da problemi di sopravvivenza quotidiana, che descrive la fine dell'ingordo riccone (1, 136 ss.):
vacuisque toris tantum ipse iacebit.
Nam de tot pulchris et latis orbibus et tam
antiquis una comedunt patrimonia mensa.
Nullus iam parasitus erit. Sed quid ferat istas
luxuriae sordes ? Quanta est gula quae sibi totos
ponit apros, animal propter convivia natum !
Poena tamen praesens, cum tu deponis amictus
turgidus et crudum pavonem in balnea portas.
Hinc subitae mortes atque intestata senectus.
It nova nec tristis per cunctas fabula cenas;
ducitur iratis plaudendum funus amicis.
Nam de tot pulchris et latis orbibus et tam
antiquis una comedunt patrimonia mensa.
Nullus iam parasitus erit. Sed quid ferat istas
luxuriae sordes ? Quanta est gula quae sibi totos
ponit apros, animal propter convivia natum !
Poena tamen praesens, cum tu deponis amictus
turgidus et crudum pavonem in balnea portas.
Hinc subitae mortes atque intestata senectus.
It nova nec tristis per cunctas fabula cenas;
ducitur iratis plaudendum funus amicis.
"divorerà i migliori prodotti dei boschi e del mare e si sdraierà, lui solo, sui divani vuoti. Infatti questa gente, tra tante mense belle, spaziose e antiche, si mangia dei patrimoni interi su una tavola solitaria ! Non ci saranno più parassiti ! Ma chi potrebbe tollerare questi lussi meschini ? Quanto è grande la gola che imbandisce per sé sola interi cinghiali, selvaggina nata per i grandi conviti ? Ma ecco la punizione, quando tu così gonfio deponi i panni e porti nel bagno un pavone non digerito. Di qui le morti improvvise di vecchi che non hanno fatto testamento. La notizia inaspettata e allegra fa il giro di tutti i conviti: si celebra il funerale a cui gli amici, pur nel disappunto (gli amici sono adirati: la morte improvvisa del riccone ha impedito loro di essere ricordati nel testamento) applaudiranno."
Fortunatamente, questa è la fine di qualche 'mangione': 'andare a fare il bagno" e 'andare in bagno' non sono la stessa cosa. E questa seconda possibilità è assai meno letale, anche se può causare rincrescimento e rimpianto, come testimonia un epigramma del poeta bizantino Agazia (6° secolo d. C.), ispiratogli dalla contemplazione di una latrina di Smirne:
I sogni tutti dei mortali
ed i loro cibi squisiti
qui espulsi, hanno perduto
il fascino primiero.
I fagiani ed i pesci,
le preziose miscele nei mortai,
le merende di ogni sorta
si mutano, quivi, in sterco.
Il ventre si libera di tutto
ciò che la gola vorace ha inghiottito,
così che alfine l'uomo vede
che, nel suo folle orgoglio,
ha speso molto oro per nient'altro
che fango.
ed i loro cibi squisiti
qui espulsi, hanno perduto
il fascino primiero.
I fagiani ed i pesci,
le preziose miscele nei mortai,
le merende di ogni sorta
si mutano, quivi, in sterco.
Il ventre si libera di tutto
ciò che la gola vorace ha inghiottito,
così che alfine l'uomo vede
che, nel suo folle orgoglio,
ha speso molto oro per nient'altro
che fango.
Anna Tiziana Mittica